Cultura leggera, Feuilleton

Con le tartarughe si fanno i pettini -8 di Clementina Coppini

In piedi vicino a Diana sfogliavo il libro alla ricerca di quella maledetta poesia, ma non la trovavo. Scorrevo le pagine dall’inizio alla fine e dalla fine all’inizio. Diana a quel punto pareva interessarsi a me molto più di prima, attratta dal fatto che avessi altro a cui pensare. Perché le persone ti danno retta solo quando vedono che hai altro a cui pensare? Le avrei dato retta eccome, una volta recuperata la poesia. Non vedevo l’ora, ma ora mi serviva di trovare la poesia. Eccola. Era a pagina 147. Ma non era come nel mio ricordo. Che disdetta, perché me la ricordavo diversa? Ah, sì, era diversa per via della traduzione. Dovevo ricostruirla com’era.
Rimasi a fissare a pagina 147 cercando nella mia testa le parole che mi servivano, quelle giuste, e le riportai una a una indietro dal passato fino a giungere alla traduzione primigenia, quella che era rimasta dentro di me per anni, rimossa ma mai davvero dimenticata.
Una poesia come quella non può entrare in contatto con un essere umano e uscirne senza lasciare traccia. Una poesia come quella va citata e trascritta ogni volta che si può. E lo faccio ancora una volta, per recitarla a me stesso come la ninna nanna che è. Una ninna nanna al contrario, che fa svegliare invece che addormentare.
George Gray
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con le vele ammainate, in un porto.
In realtà questa non è la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì, ma io mi ritrassi dai suoi inganni;
il dolore bussò alla mia porta, ma ne ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma temetti gli imprevisti.
Avevo fame di un significato nella vita.
Ora so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino
ovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia:
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio:
è una barca che anela al mare eppure lo teme.
Così me la ricordai quel giorno e così essa si è stampata dentro di me, in quell’esatto punto del tempo e della coscienza in cui le mie vele avevano iniziato a dispiegarsi senza che nemmeno lo sapessi. Mister Gray era stato un pettine per tutta la vita. Non volevo fare la sua fine. La mia tomba avrebbe avuto una scritta diversa. O almeno avrei provato a crearmi un’epigrafe diversa da quella del povero George. Fatto sta che in quel momento ebbi l’illuminazione. Di che genere? Boh, non ricordo.

Segue…

 

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